E adesso, che ne sarà di Anima? Se ne va l’ad che l’ha creata, portata in Borsa e che ha voluto e seguito le varie acquisizioni fino ad arrivare a 185 miliardi di patrimonio gestito. E mentre gli osservatori si chiedono ancora se la decisione di Marco Carreri di abbandonare sia volontaria o se non ci sia qualche altro piano da parte degli azionisti, la vera domanda è un’altra: la società di gestione del risparmio proseguirà nell’opera di consolidamento di piccole sgr come ha fatto in questi anni o diventerà a sua volta una preda?
Se vale la prima opzione non bi-sogna dimenticare che in quest’e-poca di fusioni un piccolo/medio asset manager tutto italiano fa fati-ca a confrontarsi con i big sia italiani (vedi il gruppo Intesa Sp che ha 358 miliardi di asset in gestione ma che con l’acquisizione di Ubi crescerà ancora) sia stranieri, dove la taglia è molto più elevata: BlackRock gestisce 6.000 miliardi, il colosso che sta per nascere dalla fusione tra Franklin Templeton e Legg Mason 15.000. In più, come risulta da un recente articolo di Sara Silano apparso su Morningstar News, i gestori tradizionali sentono il fiato sul collo degli Etf (Exchange traded fund), gli strumenti che seguono un indi-ce e sono di fatto dei fondi passivi, salvo avere commissioni molto più basse. Il motivo per cui sono in atto consolidamenti ovunque nel mondo è proprio quello di poter abbassare i costi e reggere la concorrenza degli Etf. Anima in questi anni ha fatto da polo aggregatore, acquisendo nel 2009 le sgr di Mps e Bpm, nel 2012 quella del Creval e poi quella di Banco Bpm, mentre ha con Poste una partnership strategica suggellata anche da una quota azionaria in capo a quest’ultima. Per Anima ci sono ulteriori possibilità di crescita con Arca, l’sgr controllata da Bper che, con i 4.500 sportelli da Ubi (se l’Ops di Intesa avrà successo), potrebbe aver bisogno di liquidità. Ma come può Anima competere sui costi? «L’sgr – dice un analista -vende i suoi prodotti a banche che lavorano con clienti di fascia bassa, in cui l’elemento più importante è il servizio. In ogni caso, con soli 28 basis point di margine, Anima compete bene. Anche perché in Italia gli Etf sono un prodotto per pochi». L’idea però che Anima, una public company con Banco Bpm al 15% e Poste al 10%, possa trovare un acquirente estero non è stravagante: i multipli sono bassi (9 volte gli utili contro 14/15 di Amundi ad esempio). Comprandola, il player estero acquisirebbe di fatto i contratti di distribuzione con le banche.
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